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Welcome to Camp America: Inside Guantánamo Bay Debi Cornwall
Questo progetto è frutto della mia passata carriera da avvocato specializzato in diritto civile negli Stati Uniti.
Per 12 anni ho portato avanti azioni legali a nome di uomini innocenti, condannati per reati che non avevano commesso. Ogni caso è stato denunciato e ha corretto abusi di potere nell’ambito del sistema giudiziario penale.
Quando, nel 2014, sono tornata all’espressione visiva, le prigioni della “Guerra al Terrorismo” costruite all’estero, presso la base navale statunitense di Guantánamo Bay a Cuba, hanno sollevato lo stesso tipo di questioni. Si stima che dall’11 gennaio 2002 circa 780 uomini musulmani siano stati imprigionati, torturati e detenuti senza accuse, né un processo. Durante le presidenze di George Bush e di Barack Obama, la stragrande maggioranza dei “detenuti” è stata rilasciata e rimandata a casa oppure, se il governo degli Stati Uniti lo ha ritenuto necessario, trasferita in Paesi terzi. Cinquantanove paesi, tra cui l’Italia, hanno accettato i trasferimenti. Al momento della stesura di questo documento, quasi 17 anni dopo, 40 uomini sono ancora in stato di detenzione a tempo indeterminato. Per cinque di loro è stata autorizzata la scarcerazione anni fa.
L’accesso agli oltre 72 chilometri quadrati del territorio controllato dagli Stati Uniti a Guantánamo Bay (nota come Gitmo per la pronuncia del suo codice d’aviazione, GTMO) è controllato dalle forze armate statunitensi, che decidono chi può visitarlo, cosa si può vedere e cosa si può fotografare. Una scorta militare accompagna i fotografi in ogni momento ed esamina ogni fotogramma, seguendo procedure quotidiane di sicurezza chiamate Operational Security Reviews. Tutto ciò che vìola il lungo elenco di divieti viene cancellato. Di conseguenza, nell’immaginario pubblico Gitmo si riduce a tute arancioni, filo spinato e fatica. Molti hanno smesso di guardare.
La mia strategia è stata quella di creare un’immagine diversa, che invitasse a ve- dere questo luogo istituito per proteggere la sicurezza dei cittadini con altri occhi. Welcome to Camp America: Inside Guantánamo Bay riunisce tre capitoli di lavoro. In primo luogo avevo intenzione di documentare la vita quotidiana sia dei detenuti che delle guardie. Come si vive ogni giorno in un luogo dove nessuno ha scelto di vivere? Dopo nove mesi e un controllo dei miei precedenti personali, mi è stato accordato il permesso di andarci. Al mio arrivo, il militare che mi scortava mi ha detto: “Gitmo è il miglior posto che un soldato possa ottenere. Qui c’è da divertirsi un sacco!”. Allora ho visto quello che mi è stato chiesto di vedere. Il primo capitolo, Gitmo at Home, Gitmo at Play, contrappone il “divertimento” – la pista da bowling, il campo da golf, la piscina e la spiaggia – con la realtà della carcerazione, gli spazi delle guardie e gli spazi dei detenuti, e allude a una realtà più oscura e nascosta. Nella maggior parte di queste fotografie non ci sono persone, perché le autorità militari vietano di fotografare i volti.
Prima del mio terzo e ultimo viaggio a Guantánamo, ho chiesto il permesso di lavorare con una macchina fotografica a pellicola di medio formato. La mia richiesta è stata respinta, perché sarebbe stato impossibile effettuare un controllo di sicurezza sui negativi non sviluppati. Quindi ho negoziato, facendo ricorso alla mia esperienza giuridica. Ho proposto che la mia scorta guardasse attraverso l’obiettivo e approvasse ogni fotogramma prima che io scattassi. Ho suggerito alle autorità militari di custodire il mio materiale e le mie attrezzature, per garantire loro che non avrei fotografato di nascosto finito il loro turno di lavoro. Ma la risposta è stata ancora negativa. Infine, ho fatto appello all’ammiraglio e gli ho proposto di trasportare a mano su un volo charter dei prodotti chimici secchi, allestire una camera oscura mobile, sviluppare tutte le fotografie in loco e digitalizzarle su uno scanner che avrei precedentemente spedito. Autorizzazione concessa. Alla fine ho sviluppato 20 rullini nella vasca da bagno del mio hotel, sotto la sorveglianza dei militari.
In seguito ho scoperto un negozio di souvenir all’interno della base e ho caricato tutto quello che potevo portare sul volo charter per tornare a casa. Gitmo on Sale, il secondo capitolo, documenta questi souvenir e gli oggetti che il carcere acquista da fornitori privati: le uniformi arancioni, le manette, le scarpe.
Per concludere, ho cercato coloro che erano stati assolti e rilasciati da Guantánamo Bay. Stanno passando qualcosa di molto simile a ciò che i miei ex clienti negli Stati Uniti sperimentano dopo l’assoluzione. Ma, a differenza della maggior parte degli individui assolti, agli uomini scarcerati da Guantánamo non è stata rilasciata alcuna dichiarazione ufficiale che attesti che sono stati detenuti ingiustamente. Non c’è stato alcun processo che abbia presentato prove contro di loro, nessuna giuria che li abbia assolti, nessun giudice che li abbia dichiarati innocenti. La vita dopo Guantánamo Bay è esponenzialmente più complicata, specialmente per coloro che ricominciano in un nuovo Paese, spesso con una nuova lingua, lontani dalle loro famiglie. La maggior parte degli ex detenuti è soggetta a quelle che sembrano restrizioni arbitrarie della libertà, dovute ad accordi segreti con gli Stati Uniti. Ad alcuni vengono negati i documenti di identità ufficiali, altri vengono costantemente seguiti dalla polizia. Le barriere sorgono anche per i bisogni più elementari: aprire un conto bancario, registrarsi per comprare un cellulare, trovare una casa e un lavoro. Come spiegare a un potenziale datore di lavoro quel buco di 12 anni sul proprio curriculum?
Ho lavorato con 14 uomini in nove Paesi, dall’Albania al Qatar, per realizzare ritratti ambientati che riflettessero l’esperienza della vita dopo Guantánamo Bay. Per ogni uomo che è tornato a casa abbiamo scelto luoghi importanti in questa nuova vita. Nei casi di coloro che sono stati trasferiti, come gli yemeniti in Slovacchia e gli uiguri in Albania, abbiamo trovato luoghi che sottolineano il profondo disorientamento di una vita ricostruita in un ambiente completamente estraneo. Tutte le immagini di questo terzo capitolo sono realizzate come se fossimo ancora a Guantánamo Bay: non vengono mostrati volti. I loro corpi possono essere liberi, ma Gitmo segnerà per sempre questi uomini. Sono ancora residenti a Camp America.