Skip to main content

AdamFerguson

The Afghans

Per secoli l’Afghanistan è stato teatro di molti conflitti tribali, fomentati da forti interessi contrapposti e da campagne colonialiste e imperialiste.

È un cimitero di imperi dove sono state combattute innumerevoli guerre: nel settimo secolo dopo Cristo l’invasione mongola ha introdotto l’Islam, poi ci sono state la grande sfida tra Gran Bretagna e Russia per il controllo dell’Asia centrale e, più di recente, la follia americana protratta ben oltre l’11 settembre. Negli ultimi quindici anni, l’occupazione statunitense è diventata l’incarnazione della moderna polarizzazione tra Islam e Occidente, che riflette una tensione geopolitica che travalica decisamente i confini dell’Afghanistan.

È stata questa polarizzazione a richiamarmi in Afghanistan per la prima volta nel 2008 e da allora ci sono stato altre venti volte. Nel 2014 gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno ridimensionato la loro presenza, ma io ho visto con i miei occhi come gli afghani, con le loro vite sospese, abitino in un ambiente sempre più volatile, politicamente ed economicamente. La speranza di avere un governo meno conservatore e più longevo sta svanendo, l’endemica corruzione della classe politica genera cinismo sociale e il timore che uno stato islamico ultra radicalizzato ritorni al potere incute paura. In questa serie di ritratti ho cercato di documentare l’inquietudine e l’incertezza del popolo afghano.

Fotografando perlopiù di notte o in momenti di scarsa luce con il solo ash come riflettore, ho guidato per le strade di Kabul incontrando soggetti colpiti dalla guerra: civili feriti, reclute militari, sfollati e persone intrappolate nel ciclo della povertà. Nonostante fossero consapevoli che li stessi fotografando, la luce bassa mascherava la presenza di una telecamera. Mentre aspettavo e guardavo attraverso questa oscurità, cercavo intuitivamente l’esposizione con il ash e questo metodo mi ha consentito di esprimere una naturale malinconia. Per me questa espressione è indicativa dello stato di incertezza di cui ero testimone. Ricordo in particolare un giovane di 17 anni, Dawar Khan. Era fuggito dalla provincia meridionale di Helmand dopo che i suoi due fratelli erano morti nei combattimenti tra i Talebani e le forze americane. Ora vive dentro una tenda, in un appartamento fangoso e sovrappopolato alla peri-feria di Kabul. Secondo le stime di Amnesty International, il conflitto in Afghanistan ha prodotto oltre 1,2 milioni di sfollati.

Spero che uno sguardo intimo sulle vite di questi afghani aiuti a guar-dare oltre quella narrativa dominante sull’Islam che genera xenofobia e paura. Vorrei creare un quadro confidenziale delle loro esistenze, catturate nella guerra più lunga intrapresa dall’America e in gran parte dimenticata.

Scarica la scheda tecnica